Claudio Baccarani, Professore Emerito di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di Verona.
Franco Cesaro,Titolare dello Studio Cesaro & Associati, Verona.
Le parole del cammino generazionale nelle imprese familiari
Sommario:1. I propositi dello scritto. – 2. La cornice di riferimento. – 3. Le parole.
1. I propositi dello scritto.
Ciò che anima questo scritto è il desiderio di gettare un cono di luce su alcuni aspetti lasciati in penombra nelle numerose e svariate analisi, sia teoriche che pratiche, volte a definire i concetti normativi ed economici che guidano il cosiddetto “passaggio generazionale” con le scelte che contraddistinguono questa fase della vita delle imprese. L’opzione metodologica si è mossa nella direzione di una conversazione tra un accademico con tutte le sue domande e i suoi dubbi e uno studioso professionista con tutte le esperienze cumulate in tanti anni di lavoro gomito a gomito con imprenditori che si sono trovati ad affrontare questo momento e che ha visto di recente riconosciuto il proprio metodo in ambito internazionale. Dopo una serie di incontri sul tema condotti in forma di brainstorming il percorso ha privilegiato la direzione della ricerca delle parole che tracciano l’orizzonte entro il quale si colloca il fenomeno del ricambio generazionale, riconoscendo alle parole la forza di vettori dei concetti che possono far crescere la conoscenza in merito a determinati fatti e alla realtà che si desidera comprendere. Per fare questo si è provveduto a tracciare una cornice generale entro la quale collocare i temi principali chiamati in causa, per tentare di illuminare almeno in parte alcuni degli aspetti di frequente non considerati nell’analisi di queste fondamentali fasi della vita dell’impresa e che possono portare l’azienda ad imboccare o meno il percorso della durata, al di là della vita fisica del fondatore. L’ampia cornice concettuale che ne è scaturita ha richiesto l’introduzione di un’opzione successiva volta ad individuare le prime cinque parole che dalle nostre conversazioni emergevano per la loro forza esplicativa. Risultato raggiunto attraverso una serie di votazioni e graduatorie individuali che non senza difficoltà hanno selezionato tali parole nei limiti numerici imposti dai vincoli assunti. I pensieri che seguono raccolgono i risultati di questo lavoro.
2. La cornice di riferimento.
Il ricambio generazionale nelle imprese familiari si manifesta secondo un percorso, un processo, nell’ambito del quale può prendere corpo gradualmente un cambiamento dei ruoli ricoperti in azienda da persone che appartengono alla stessa famiglia nel contesto di una convivenza dai tratti più disparati. Considerate le dinamiche che si rilevano in queste imprese al passare del tempo, e dunque all’evolvere del ciclo di vita delle persone coinvolte, appare, dunque, quanto meno impreciso ricorrere ad un concetto quale l’usuale “passaggio generazionale” per la definizione di queste fasi della vita dell’impresa. Il “passaggio” richiama, infatti, alla mente un qualcosa di puntuale, che si realizza in un solo preciso momento, quando la realtà, al contrario, mostra un continuum nell’ambito del quale si intrecciano varie situazioni che scaturiscono dall’incrociarsi del ciclo di vita dei soggetti interessati ai “ruoli” che si trovano ad interpretare nel palcoscenico aziendale. Da una parte il ruolo di chi già vive l’impresa da tempo e dall’altra quello di chi si affaccia per la prima volta alla vita dell’impresa, pronti in ambedue i casi ad un percorso comune dai tratti del tutto da definire sulla base di una traccia quale quella che apre alla commedia dell’arte. Più che di passaggio generazionale, che richiama anche alla mente successioni di tipo dinastico, sembra, quindi, più opportuno pensare ad un “cammino generazionale”. Cammino che genera una varietà di situazioni che solo la conoscenza del vissuto di quel periodo all’interno di quello specifico sistema impresa-famiglia consente di percepire nei tratti emozionali, psicologici e relazionali che contraddistinguono quella specifica realtà che, come tale, appare unica e irripetibile. Né la prospettiva muta nel caso in cui il ricambio generazionale si presentasse a causa di un evento traumatico, come la morte improvvisa di chi guida l’azienda o una sua malattia irreversibile. Invero, ci si trova in ogni caso di fronte ad un processo generato dalla costante presenza dell’azienda nell’ambito delle discussioni-conversazioni familiari, in ragione del forte legame che connette l’impresa alla famiglia, quasi a farne un componente aggiunto della stessa che “siede a tavola” con gli altri commensali. Difficilmente si tratta di un processo che segue percorsi lineari. In esso, infatti, confluiscono una varietà di componenti emozionali e psicologiche vissute dai soggetti interessati non sempre in forma palese, anzi spesso presenti solo in forma latente, quasi a volerle allontanare dalla propria quotidianità. Invero, si tratta di un percorso che accosta due fasi drasticamente diverse della vita delle persone, fasi che viaggiano allineate per un certo tratto per poi imboccare l’una la via del declino, l’altra la via dello sviluppo. E in questo divenire c’è tutta l’accettazione o meno della ridefinizione del proprio ruolo vissuto in attività ad elevata intensità emotiva e di coinvolgimento come quella imprenditoriale. Attività dalla quale risulta estremamente difficile, per il fondatore, l’anziano, allontanarsi anche in età avanzata per la totalità del coinvolgimento che ha portato con sé nella vita lavorativa del soggetto. Condizione questa che non sempre conduce con serenità alla decisione di porsi a lato del cammino dell’azienda, nel senso del proporsi contemporaneamente presenti e assenti in esso, pronti ad intervenire ma solo in caso di necessità, lasciando ad altri il vissuto aziendale in prima persona. Sono i momenti nei quali si vive il confronto tra i caratteri di imprenditività, di creatività e di responsabilità dei soggetti chiamati in causa dal cammino generazionale. Momenti nei quali l’intelligenza emotiva (o intra-personale) e sociale (o inter-personale) assumono un ruolo fondamentale. Ed è così che, talvolta, l’atteggiamento del fondatore, o di chi si è trovato a guidare l’azienda in tempi successivi, lo può portare a comportamenti e scelte volti a preservare il ruolo di presidente sempre presente in azienda con il figlio amministratore delegato in una condizione di potere sostanzialmente limitato. Come pure, al contrario, può evolversi in una combinazione armoniosa di compresenza con ruoli di rilievo ma ben definiti negli spazi di libertà. Senza dimenticare la possibile conflittualità distruttiva che può emergere tra componenti della generazione entrante o il totale disinteresse della nuova generazione per i fatti dell’impresa. Elemento centrale del cammino generazionale appare così nitidamente il tempo nelle sue tre diverse forme che S. Agostino definiva presente del presente, il momento vissuto, presente del passato, la memoria delle esperienze, presente del futuro, le costruzioni desiderate e che potremmo rileggere con “il qui e ora”, esuli del passato e visitatori del futuro proposto da Richard Normann in una visione aziendale. Invero, il cammino generazionale chiama in causa il ciclo di vita delle persone che nel suo carattere biologico è limitato rispetto al ciclo di vita dell’azienda che potrebbe vedere molto ritardato o addirittura non vedere mai il declino: Barone Ricasoli del 1141 è ora alla 34esima generazione in piena salute. Il cammino generazionale si propone così sulla via della continuità aziendale e della longevità, di un soggetto, l’impresa, considerata non come un mero strumento in mano all’imprenditore, ma come una comunità di persone e di vita che può esistere al di là del tempo di vita del suo fondatore. Pur nell’unicità di questi cammini si può cercare di raccogliere in gruppi i tratti di come questi possano avviarsi. Un tentativo al riguardo è proposto nelle seguenti quattro categorie.
1) La nuova generazione non vuole entrare in azienda e intraprende un proprio percorso di vita professionale. Si aprono così diverse possibilità: cessione, trasformazione (cooperativa, management buyout), a meno di un ripensamento da parte di qualche giovane familiare per un senso di responsabilità (talvolta accompagnato da sensi di colpa e relative frustrazioni) verso le persone che vi lavorano minacciate da un evento traumatico improvviso che può determinare la crisi e la chiusura dell’impresa.
2) Il fondatore o chi guida l’azienda ritiene che non ci sia più spazio di mercato per l’attività svolta e ne disincentiva la continuazione spingendo la nuova generazione verso attività diverse. In questo caso la continuità aziendale dipende da un possibile e rischioso, perché foriero di forti cambiamenti, innamoramento per l’attività da parte di qualche componente della nuova generazione, che nella sua forza imprenditoriale intravvede possibilità invisibili a chi guida l’azienda in quel momento, quasi avesse esaurito la sua carica creativa. Ovviamente l’impresa può continuare anche grazie ad una possibile cessione di tutta o di una parte dell’attività.
3) La nuova generazione desidera entrare in azienda in sostanziale continuità. L’attività prosegue secondo i percorsi tracciati che coinvolgono le relazioni familiari nel contesto di una convivenza generativa di tipo bio-socio-culturale caratterizzata da condivisione di valori di base pur se in condizioni di diversità e potenziale conflitto, in un atteggiamento di legittimazione reciproca e di senso delle scelte del proprio progetto di vita, primo per chi si avvia, secondo per chi si sta allontanando. Centrali in queste condizioni appaiono la capacità di ascolto, di dialogo, di mediazione, di rispetto, di coraggio nel trasferimento del capitale personale di relazione posseduto da chi ha guidato per tanti anni l’azienda.
4) La nuova generazione desidera entrare in azienda ma in decisa discontinuità con quanto fatto dalla generazione precedente. Il tratto che spicca rispetto al caso sub 3 è l’accentuazione del conflitto che può portare a rotture anche traumatiche che potrebbero pregiudicare la sopravvivenza dell’azienda. In queste situazioni è fondamentale che all’interno della famiglia esista una figura che possa svolgere un ruolo di mediazione valoriale e organizzativa spesso assunto da soggetti femminili che non rivestono ruoli direttamente operativi in azienda e che possono ricucire i rapporti in un lasciarsi e ritrovarsi dei contendenti su nuove prospettive. Ruolo questo ben richiesto anche dal caso precedente ma che qui assume una rilevanza di primo piano, ruolo al quale si richiede la capacità di generare fiducia.
In ognuno di questi casi, comunque, si determina un inevitabile clima di conflitto che emerge in forme più o meno palesi nelle relazioni personali e che si esplicita con confronti costruttivi, anche accesi, o con modalità cruente e distruttive. Nella scelta di commentare un numero limitato delle parole che dipingono questo vissuto in azienda, ad esempio non meno di tre, non più di cinque, ci si trova di fronte ad un compito irto di difficoltà per le evidenti interconnessioni tra esse. Con questa consapevolezza dopo una serie di discussioni sul tema, le cinque parole irrinunciabili alle quali siamo arrivati sono risultate le seguenti: convivenza, legittimazione, relazioni, valori, creatività. Eccole proposte in una sintetica analisi nei passaggi successivi.
3. Le parole.
Convivenza
Il passaggio del tempo introduce cambiamenti nelle relazioni tra i componenti della famiglia nel contesto delle loro scelte e del loro desiderio di futuro. La statistica ci informa che in Italia le nuove generazioni permangono nella famiglia di origine mediamente ben oltre i 30 anni, favorendo il fenomeno delle cosiddette “asincronie feconde”, definite come conflitti di medio livello che alimentano consapevolezze nei soggetti che, in coerenza con i propri valori e scelte generazionali, non rinunciano alle proprie convinzioni godendo comunque da un lato delle sicurezze garantite dalla stabilità degli anziani e, dall’altro, nel vedere le diversità dei giovani come possibile continuità e realizzazione delle proprie frustrazioni. In pratica nell’esercizio del conflitto esplicito si attivano nel profondo di ognuno dei soggetti coinvolti una serie di dinamiche: i giovani fanno ciò che io, anziano, non ho mai fatto ma avrei voluto fare; i giovani si permettono di rischiare o “deviare” dalle convenzioni, consapevoli delle sicurezze garantite dalla struttura solida della famiglia, e spesso, dell’impresa. Questi confronti, di cui si fa esperienza a volte sofferta, nutrono la consapevolezza di sé e di quella spiritualità che non è “acquistabile” nel mercato ma che si accresce proprio in occasione dei conflitti. Sono cambiamenti che si incrociano con quelli ambientali e con il divenire dell’azienda e della famiglia in questo contesto. Il conflitto è inevitabile e naturale: si attiva in queste condizioni per la varietà delle posizioni che per loro natura possono manifestarsi nell’evoluzione delle cose e delle relazioni, al di là della volontà dei singoli. Tutti i soggetti sono in movimento, all’interno di spazi definiti, contenuti e, nel tempo, insufficienti a contenere il naturale accrescimento di bisogni e di libertà d’azione. Nella dinamicità, nel movimento ravvicinato in spazi ristretti, le frizioni sono inevitabili, soprattutto fra i soggetti fra loro più prossimi: i familiari. Soprattutto nelle piccole e medie imprese a capitale familiare i soggetti di diverse generazioni convivono per lunghi anni e possono contemporaneamente mettere a rischio patrimonio e attività per la loro incapacità e sofferenza nello stare assieme, oppure possono cogliere l’occasione di imparare a gestire i conflitti crescendo insieme nella diversità ed essendo d’esempio per collaboratori, clienti e fornitori che, in modo diverso, vivono le stesse dinamiche.
Legittimazione
La soluzione del ricambio generazionale all’interno di queste imprese non può prescindere da una legittimazione in fiducia reciproca delle persone coinvolte in questo processo. Persone che non sono rappresentate solo dagli attori principali del processo stesso, ma anche da soggetti collaterali alla scena, in ogni caso centrali e con un ruolo fondamentale nella vita aziendale, quali tutti gli stakeholder partecipi della rete di rapporti dell’azienda. Il problema di fondo afferisce principalmente alla relazione genitore/figlio/genitore che inevitabilmente trova la sua radice nelle relazioni familiari interpersonali che caratterizzano la storia delle persone ed il loro vissuto reciproco. Questa dinamica riguarda la sfera personale, umana, prima che imprenditoriale o professionale. Da un lato il figlio cerca nel padre la conferma del “mito” che si è costruito da bambino. Dall’altro il padre cerca e spera di scoprire nel figlio gli elementi che possono confortarlo nel consegnargli le chiavi dell’impresa e del patrimonio, senza la paura che ciò che ha costruito nel tempo vada in rovina. Le reciproche conferme sono spesso avvallate o smentite da persone terze. La credibilità di un individuo è spesso centrata sulla reputazione, sull’immagine e sulla storia personale, tutto compreso. In questo percorso andrebbe anche considerato il diritto di sbagliare, elemento fondamentale dell’apprendimento che, per i motivi di cui sopra, viene talvolta negato al giovane che deve possibilmente dimostrare subito la sua idoneità a ricevere il testimone. Il problema diventa quindi quello di avere la possibilità di poter cambiare, di rassicurare, di costruire rapporti fiduciari e di stima con collaboratori, clienti, fornitori, consulenti e così via. Ma tutte queste persone fanno parte di quel “capitale personale” costruito dal genitore in anni di lavoro e di relazioni. E non sono trasmissibili per via genetica o culturale: il consulente del padre rimarrà sempre il consulente del padre, anche se il padre lo introduce al figlio. In genere il consulente quel figlio lo ha conosciuto da piccolo e lo ha visto crescere e ne conosce o ne intuisce caratteristiche e predisposizioni per gli studi, la vita extra-azienda, le vicende personali. E viceversa. Il figlio conosce quel consulente da sempre e ne conosce modalità, linguaggi e frequentazioni che hanno definito la complicità col padre. Costruire nuove alleanze diventa pertanto un duro lavoro di paziente volontà di liberarsi dai pre-giudizi attraverso il lento modellamento di una fiducia basata su nuove esperienze che si è disposti a fare, anche a costo di correre reciprocamente rischi crescenti. Su questa base la legittimazione passerà attraverso il riconoscimento degli sforzi fatti per assumersi responsabilità che faranno da apripista verso autonomie indispensabili per l’esercizio di una nuova imprenditorialità. Anche da parte del padre, peraltro, sarà necessario aprirsi alla propria storia, quella vera, fatta di verità e quindi di successi, insuccessi, errori, delusioni, abbandoni, lutti, disillusioni e altro che sono le basi di una credibilità costruita sulla consapevolezza che il ruolo di padre deve affiancarsi a quello di “imprenditore collega del figlio”, un essere umano che, nella sua normalità, non deve temere di perdere autorevolezza e potere rivelandosi, spogliandosi delle corazze e delle maschere spesso necessarie per mantenere l’immagine che gli altri, la società, l’ambiente, i famosi stakeholder vogliono avere. Questo per costruire una nuova credibilità basata sulla legittimazione reciproca e sulla stima verso se stessi e verso l’altro.
Relazioni
Un elemento fondamentale che scandisce la forza competitiva dell’impresa familiare è rappresentato dal capitale di relazione costruito nel tempo da chi guida l’impresa. Capitale che scaturisce dal divenire dei molteplici contatti personali vissuti nell’ambito della varietà di scelte compiute nella quotidianità dell’agire. Contatti che per generare capitale di relazione devono superare i semplici aspetti delle relazioni economiche per ampliarsi a relazioni sociali, per certi aspetti, assimilabili a quelle familiari. Relazioni nell’ambito delle quali campeggia come costruttore di capitale la fiducia che fluisce nelle interazioni con tutti gli interlocutori aziendali. Fiducia generata nel tempo attraverso vie emozionali e cognitive. Le prime frutto di sguardi e impressioni nella fase di avvio dell’attività, le seconde frutto della combinazione di componenti emozionali e oggettive derivanti dalla prova dei fatti vissuti. Fiducia che genera innumerevoli vantaggi. Dosi sufficienti di fiducia, infatti, sostengono la circolazione di conoscenza intra e interaziendale, diffondono autonomia e responsabilità, riducono la necessità di controlli, accelerano il processo decisionale, riducono la possibilità di fraintendimenti, agevolano il controllo delle “voci di corridoio”, contribuiscono alla soluzione di conflitti, rafforzano l’immagine e la reputazione aziendale, facilitano la creazione e la diffusione di un clima positivo. In altre parole, fluidificano il percorso aziendale nel divenire di un contesto ambientale vieppiù complesso, consentendo all’impresa di produrre ma anche di “nutrirsi di complessità”. Ad evidenza questo capitale relazionale non si può trasferire come un puro elenco di nominativi, una serie di indirizzi mail e numeri di telefono. A dir il vero non si può trasferire perché del tutto personale nel senso dell’essere legato al vissuto della persona. Lo si può però coltivare in azienda, soprattutto con chi un domani potrà succedere a chi in un certo momento guida l’azienda. Lo si può coltivare attraverso l’opzione della generosità che vede l’agente muoversi nei confronti di ognuno degli interlocutori non per ottenere un risultato proprio personale, ma per rispondere alle loro esigenze producendo e diffondendo benessere nelle relazioni. Lo si può coltivare in via tacita attraverso un affiancamento nei percorsi imprenditoriali che contribuisce a rigenerare capitale relazionale accostando il vissuto storico al divenire del mondo nuovo interpretato dalle nuove generazioni che vi contribuiranno attraverso il loro modo di porsi nelle relazioni. Relazioni che per loro natura si fondano su un contatto “caldo” generato, almeno in parte, dalla presenza fisica con tutto il patrimonio comunicativo verbale, paraverbale e non verbale che la contraddistingue. Va da sé che il divenire tecnologico e l’affermarsi sempre più intenso di comunicazioni “fredde” veicolate sui contatti tecnologici a distanza genereranno la necessità di accudire in forma sempre più intensa i rapporti che stanno alla base della costruzione del capitale relazionale. Condizione questa che avrà manifestazioni sempre più frequenti nel tempo in relazione all’ingresso nel mondo dell’impresa di giovani che la tecnologia ha sempre più allontanato dalle relazioni dirette. Ed in questo contesto sempre più rilevante apparirà la capacità di disporre di forme di “affiancamento rovesciato” che si realizzano nel momento in cui la generazione in uscita sa porsi a lato della nuova pronta ad intervenire per un tratto del percorso in caso di bisogno.
Valori
I valori sono i principi morali ai quali ci si ispira nella formulazione delle scelte e sono particolarmente utili nei momenti di difficoltà nei quali il decisore deve muoversi tra alternative che a volte si propongono con il carattere di veri e propri dilemmi. Perché i valori possano costituire dei validi punti di riferimento per le scelte organizzative, quasi si trattasse di un faro cui riferirsi nella ricerca della strada da percorrere, non basta siano elencati nei documenti che tracciano i percorsi strategici dell’impresa, ma occorre che siano vissuti e condivisi. Certo ogni impresa riferirà la propria condotta a valori connessi alla cultura che la contraddistingue. Tuttavia, nel caso dell’impresa familiare e del suo desiderio di proporsi nella ricerca della continuità generazionale alcuni valori rappresentano un punto di riferimento centrale. Tra questi vanno almeno ricordati l’ascolto, il dialogo e la cultura del noi. L’ascolto per imparare a sentire anche quello che gli altri non dicono e cogliere le esigenze degli interlocutori interni ed esterni dell’impresa ed in particolare quelle delle nuove generazioni che si affacciano all’impresa con la loro cultura e le loro istanze di innovazione-cambiamento e quelle del territorio in cui l’impresa vive per le intime connessioni che si generano tra attività economiche e vissuto sociale in una costruzione molto vicina a relazioni di tipo familiare. Il dialogo per la criticità del saper valorizzare il pensiero diverso dal proprio in una prospettiva di crescita culturale comune attraverso una contaminazione tra diversità. Aspetto questo di particolare rilievo in un contesto come l’attuale in cui le tecniche di comunicazione sviluppate sul web rischiano di creare un solco comunicativo tra generazioni nel quale la conflittualità negativa-distruttiva può trovare fertile terreno. La cultura del noi fondata sul principio per il quale “io esisto perché noi esistiamo”, il che sottolinea come il senso dell’impresa per l’imprenditore, per le nuove generazioni e per i lavoratori poggi sulla consapevolezza di essere parte di un’opera d’arte collettiva vivente, proiettata con il contributo di tutti nella direzione della costruzione del futuro desiderato alla ricerca del benessere possibile per tutti gli stakeholder. È sulla base di questi valori che si gioca la possibilità di vivere costruttivamente la convivenza generazionale, con i suoi naturali conflitti, nella ricerca di una legittimazione reciproca che si propone come spinta innovativa nell’evoluzione dell’impresa. Dando per scontato che i valori morali fondamentali, quali l’onestà, la trasparenza, il rispetto delle regole, l’obbligo di solidarietà tipici della famiglia siano condivisi dalla prevalenza dei soggetti della famiglia con la forza di trasferirli poi ai collaboratori in azienda.
Creatività
Nella sua varietà di possibili significati la creatività richiama in sé i concetti di idea e di innovazione e quindi di risposta ad un’istanza, un problema, un’opportunità percepita. Invero, una delle definizioni che appare centrale in un contesto aziendale vede nella creatività la capacità di dare risposte nuove a problemi vecchi e nuovi. In realtà, la creatività conduce per sua natura nella direzione del nuovo e della capacità di esprimerlo attraverso la generazione di un’idea. Idea che nasce da una connessione della cultura delle persone con l’ambiente in cui vivono in controluce a tutte le realtà e le istanze che rivela. Fondamentale in questo percorso diretto alla produzione di idee è l’umiltà con la quale il soggetto guarda all’ambiente in cui vive alla ricerca del nuovo, guidato dai dubbi che le dinamiche ambientali propongono al suo sentire e che gli consentono di scrutare l’invisibile prima che diventi visibile a tutti. Tratti questi che certo hanno caratterizzato l’azienda che vive il ricambio generazionale, ma che devono contraddistinguere anche la nuova generazione che è attesa alla prova della creatività, in un contesto che pone a confronto culture per loro natura diverse per i processi di cambiamento che il tempo porta con sé. Culture che da una parte possono aver privilegiato l’intuito e la non la razionalità e dall’altra la razionalità pura proposta da tecniche manageriali sempre più quantitative che rischiano di affievolire lo spirito creativo in un presuntuoso atteggiamento di sapere. Aspetto questo che può generare conflittualità nel momento in cui non si riconoscesse l’esistenza di diversi stili creativi e che tutti sono potenzialmente creativi, anche se in forme differenti e complementari a quella che potrebbe essere considerata la capacità di produrre l’innovazione assoluta, originaria, il cui valore può essere mantenuto anche grazie a innovazioni relative di tipo trasformativo. Certo è che se il figlio genera idee innovative che nello stesso contenitore possono andare in contrasto con le strutture e modalità create dal padre, è necessario che il figlio abbia la possibilità di creare una nuova impresa a lato o lontano dal padre (magari utilizzando i patrimoni di famiglia) seguendo la propria indole, e magari riconoscendo al padre e alla famiglia il ruolo di sostegno e controllo necessari ad abbassare il rischio tipico delle start-up moderne. Al di là in ogni caso della produzione quantitativa di idee e della capacità di produrle sulla base di quanto disponibile, cioè di quanto c’è in un certo momento a disposizione senza reclamare carenze, va sottolineato come la creatività si realizzi solo se si dispone della capacità di costruire consenso: tante buone idee non si realizzano perché i soggetti non sanno relazionarsi positivamente con chi deve sostenere i progetti sia finanziariamente che dal punto di vista tecnico ed organizzativo. Ed il cerchio si chiude riportando la riflessione al tema delle relazioni: la vera abilità che sostiene il cammino generazionale rimane sempre quella di saper “costruire relazioni positive e durature nel tempo.
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Che dire al termine di questo percorso dialettico che si è proposto di contaminare riflessione teorica e vissuto professionale su un tema spesso analizzato in forme prevalentemente giuridico-economiche ovviamente rilevanti e necessarie? Alcune considerazioni premono per essere raccolte. La prima che il ricambio generazionale se considerato solo come momento puntuale della vita dell’impresa rischia di nascondere aspetti fondamentali che conducono a quel passaggio attraverso un cammino che si muove in un tempo non immediato e che coinvolge lo stare insieme per un tempo non breve di componenti di una famiglia con tratti, caratteri e vissuto affatto differenti tra loro e dalla cui armonizzazione dipende in larga parte il futuro dell’impresa. La seconda che questo cammino rivela i caratteri di una, forse inaspettata, complessità generata dal fatto che il suo avvio mette in contatto soggetti che si trovano ad affrontare due momenti di crisi della propria vita di tipo diametralmente opposto: la crisi generata dall’avvio di un allontanamento da ciò che è stato per lunghi anni l’elemento centrale della vita professionale e sociale di una persona e la crisi da ingresso in una realtà in larga parte sconosciuta e nella quale è necessario guadagnarsi uno spazio di credibilità. La terza che se l’obiettivo del professionista che affronta questi temi è quello di portare l’impresa a perdurare nel tempo è necessario che i servizi siano proposti in forme di affiancamento in azienda al fine di cogliere tutte le sfumature di carattere psicologico ed emozionale che contraddistinguono il cammino oggetto di indagine al fine di poter agevolare la costruzione di relazioni armoniose nella valorizzazione delle diversità. La quarta è che l’intervento in azienda spesso non è sufficiente in quanto, nella maggior parte dei casi, l’avvicendamento in impresa si sviluppa all’interno di un processo successorio che coinvolge tutti gli aspetti patrimoniali della famiglia. È fondamentale affrontare la globalità del mondo impresa-famiglia con un approccio sistemico che tenga in considerazione tutte le dinamiche e la complessità delle problematiche tecniche e psico-sociali. È indispensabile pertanto un intervento di tipo multidisciplinare che apre il nuovo fronte delle metodologie e delle culture professionali dei diversi consulenti coinvolti, spesso in contrasto fra loro. Per tutelare imprese e famiglie occorrono competenze certificate e un numero di casistiche necessarie ad affrontare diversità ed unicità di ogni situazione affrontata.