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IL TEMPO E LA RELIGIONE: DEL LAVORO E DELLA VITA.
19.04.2020

19 aprile 2020

In questi giorni tutti hanno vissuto l’esperienza del TEMPO

Abbiamo preso coscienza che l’unico vero patrimonio che ci è stato donato è un conto corrente che si esaurisce ogni giorno e riprende il giorno dopo mettendoci a disposizione quei secondi, ore e minuti che possiamo utilizzare bene o male. Facendo del bene o facendo del male: a noi stessi, agli altri, al mondo.

Il modo in cui stiamo vivendo questo tesoro non dovrebbe essere una novità: Seneca, nel suo saggio scrivere, ricordava al suo amato Lucilio che felicità e tempo sono strettamente connessi. Debbo a Luciano De Crescenzo (che pubblicò nel 1998 uno scritto con lo stesso titolo del filosofo romano, il tempo e la felicità) la lettura leggera e sconvolgente al tempo stesso di come già allora ci si ponesse la questione di quanto sprechiamo la nostra vita, non assaporando il valore di quanto ci scorre attorno.

Ammiro da sempre le donne per la loro capacità di aspettare e, pertanto, di avere una visione di lungo periodo. Aspettano nove mesi un figlio, talvolta aspettano per anni, per una vita il grande amore; sanno che il tempo è il grande medico per ogni tensione o dispiacere o lutto. Per gran parte di loro è così.

Noi maschi abbiamo imparato da subito a correre, a combattere per vincere subito, nel qui ed ora. Adesso siamo tutti eccitati perché dobbiamo tornare a lavorare di corsa; nel Michigan sono scesi in piazza con i mitra ed i fucili per rivendicare il diritto a non stare a casa, forti di una legislazione che non contempla come reato scendere in piazza armati.

Per loro, negli USA, non lavorare significa non mangiare oggi, abituati a consumare tutto e subito, a differenza di noi formichine che, in un modo o nell’altro, qualcosa proviamo a risparmiare in attesa di tempi duri, e forti del fatto che da 70 anni non abbiamo guerre ed abbiamo una socialità che ci accudisce e, bene o male, ci garantisce gratuitamente salute e sopravvivenza di buona qualità.

La fretta, la corsa, il percorrere le scorciatoie come strategia di vita, sono frutto di una cultura in cui il “tutto e subito” non è solo appannaggio dei giovani: è parte di un modello di società che ci ha tolto il gusto delle cose, soprattutto di quelle importanti che in questi giorni si sono ripresentate potenti e vive, dandoci ancora tanta speranza.

La natura ci ha messo poche settimane per riappropriarsi, almeno per un po’, dei propri spazi: animali, aria, acqua, si sono dati una ripulita e si sono rifatti vivi in tutta la loro potenza e bellezza.

Faremo presto a ricacciarli nel loro recinto di vita inquinata e oppressa, riappropriandoci delle “nostre” spiagge, litorali, prati, giardini.

L’impazienza ci sta tediando ancora più dell’angoscia di questo nemico sconosciuto contro cui stiamo imparando a combattere e a convivere.

Non è solo il covid-19, ma è quel male oscuro, dentro di noi, che ci consuma la vita centrata ormai solo sul lavoro. Non il lavoro creativo e appagante, non quel lavoro di auto-imprenditorialità e originalità di cui anche Junus parla in questi giorni: pare che vogliamo tornare nella bolgia della frenesia che, utile per un lato a garantirci reddito e una certa qualità della vita, dall’altro ci logora nelle energie e nelle relazioni che non sappiamo gestire.

Bello per me osservare le contraddizioni di questi tempi: ho sentito bravi medici auspicare la veloce ripresa delle attività per non cadere in malattie psicosomatiche da “quarantena”, ritenute più pericolose del virus. Così come ho sentito manager commossi per aver riscoperto in questi giorni mogli e figli che si sono accorti di non aver conosciuto negli ultimi anni e di cui, ora, sanno di non poter più fare a meno.

Di certo, per loro ,è necessario un cambiamento.

Qualcuno ha scoperto la meraviglia della disciplina e della regolarità, non intesa come opprimente routine, ma come “regola” di vita, tale e quale a quella con cui i monasteri di tutte le religioni organizzano la convivenza dei loro abitanti. Da secoli.

Ed in tutto questo anche la conseguente sobrietà, il necessario ordine delle poche cose e degli spazi, del valore della manutenzione delle cose e delle relazioni, della pulizia e dell’igiene personale e ambientale, della riflessione e del tempo per l’anima, per la cultura e lo studio, per coltivare qualche piccola passione artigianale, per il collezionismo, per prendere o riprendere le relazioni vicine o lontane, per la solidarietà con il prossimo, a partire dal tuo vicino di casa.

La “regola” è una necessità di vita, non solo quell’imposizione che gli altri ti obbligano a rispettare e che molti di noi praticano a modo loro , indigenti verso se stessi e “pregni” del diritto di selezionare le leggi interpretandole a seconda di chi, come e quando le comunica. La comunità, la società civile non funziona se non ci riunisce attorno alle regole.

È il tempo dell’“ozio creativo” come direbbe Domenico De Masi (1995), non quello inutile e noioso, annoiato e logorante. E’ quel tempo che dovremmo pretendere da noi stessi e regalarci sempre in modo ritmico per crescere, migliorare e cambiare per adeguarci ai tempi e modi di una natura che muta di poco ogni giorno, che cammina in silenzio trasformandosi in bellezza e armonia.

Il tempo è un patrimonio che ci è stato regalato ma di cui non conosciamo l’entità e la durata.

Ogni giorno è un’opportunità da cogliere prima che, a sera, si esaurisca e che, come recita un famoso mantra, vale la pena di condividere con qualcuno che sia speciale per noi.

Franco Cesaro